Sala 1b. La preistoria dell’uomo

Qui sono esposti i reperti che documentano le prime fasi della presenza umana nel Valdarno, che va dal suo arrivo circa 400.000 anni fa fino all’età del Bronzo. Durante questo lunghissimo periodo, in cui si alternarono Homo erectus, Homo sapiens neandertalensis e Homo sapiens sapiens sullo sfondo di profonde variazioni climatiche, si verificarono importantissime conquiste tecniche e economiche. Gli strumenti in pietra scheggiata documentano la presenza di insediamenti temporanei di cacciatori/raccoglitori del Paleolitico e Mesolitico sulle colline prospicenti le pianure alluvionali, seguiti dai primi abitati stabili di agricoltori/allevatori in grado di realizzare ceramica e strumenti in metallo.4

Approfondimenti

Il Pleistocene che, per convenzione, ha inizio circa 1,8 milioni di anni fa, è un’epoca geologica caratterizzata da profondi cambiamenti climatici che hanno lasciato la loro impronta sulla morfologia del rilievo terrestre ed hanno influenzato l’evoluzione biologica e lo sviluppo delle culture umane. In particolare, i mammiferi che oggi popolano l’Italia sono comparsi durante il Pleistocene Medio. Queste comparse sono state una conseguenza sia della naturale evoluzione di specie preesistenti, sia della immigrazione di specie da altre aree geografi che come l’Europa orientale, l’Asia e l’Africa.
Il rinnovamento delle faune pleistoceniche è caratterizzato dalla comparsa di specie con strutture corporee sconosciute in precedenza, ma comuni attualmente. E’ il caso del bisonte, del bue, dei cervidi come l’alce e i rappresentanti del gruppo dei “cervi giganti”, oggi estinti. In questo periodo compaiono inoltre animali adattati a climi steppici come il bue muschiato e la renna. Anche tra i carnivori gli immigrati sono numerosi: la iena maculata, il leone, l’orso bruno, e il precursore del noto orso delle caverne Ursus spelaeus.
Nel corso del Pleistocene Medio si diffondono inoltre i mammiferi di montagna, come lo stambecco e il camoscio e diventano comuni il cavallo, il cervo nobile, il capriolo e il daino. L’elefante meridionale viene sostituito dall’elefante antico, Elephas antiquus, una specie di dimensioni gigantesche, alta fino a 4 metri al garrese e con zanne lunghissime e debolmente ricurve. Infine, durante le fasi climatiche più rigide del Pleistocene Superiore si diffondono l’elefante lanoso, il noto Mammut e il rinoceronte lanoso.
L’intervallo di tempo che comprende il Pleistocene Medio e Superiore e che ha inizio circa 900.000 anni fa è conosciuto anche come “Era Glaciale”. In questo intervallo si sono infatti succedute fasi climatiche fredde, dette “glaciazioni”, durante le quali le regioni più settentrionali sono state coperte da immense coltri di ghiaccio e le principali catene montuose hanno ospitato ghiacciai molto più estesi di quelli attuali. Queste fasi climatiche glaciali si sono alternate a periodi con clima più temperato, detti “interglaciali”, durante i quali i ghiacciai si sono ridotti arealmente e la temperatura ha raggiunto valori vicini ed anche superiori a quelli attuali

Il territorio comunale dì Fucecchio, formato in forte prevalenza, nella parte collinare, da potenti depositi dì materiali alluvionali terrazzati di età pleistoce­nica, ha restituito numerose testimonianze della presenza dì popolazioni paleolitiche, rappresentate da concentrazioni più o meno consistenti di industrie litiche. Questi ritrovamenti documentano la presenza di accampamenti sta­gionali o capanne di cacciatori nomadi paleolitici che percorrevano il Valdarno, all’inseguimento della ricca fauna quaternaria che rappresen­tava la loro principale fonte di alimentazione.

I reperti più antichi sembrano essere le selci raccolte su una ristretta superficie di terreno presso l’oratorio di S. Maria della Ferruzza del capoluogo. Questi materiali presentano una forte patina, spessa e lucente, che contraddistingue i reperti dì altri giacimen­ti del Paleolitico inferiore localizzati sulle colline a Sud dell’Arno. Purtroppo il loro esiguo numero non consente altre deduzioni di carattere tipologico, che ne confermino la remota antichità.

Con il Paleolitico medio, la frequentazione del territorio da parte dell’Uomo di Neanderthal, cui è da attribuire la cultura musteriana, si rivela ben marcata e diffusa. Giacimenti piuttosto ricchi di questa fase sono stati localizzati a Crocìaloni e presso Biagioni, mentre materiali più sporadici o singoli reperti si segnalano a Casa Lippi, sulle colline fra Le Vedute e Galleno, a Casa Maniera, Casa Giuntoli (Mon­tèllori), Casa al Vento, Belriposo e Migliorati. Tipologicamente si può parlare di un’in­dustria musteriana classica databile ad un momento recente della glaciazione di Wűrm.

Col Paleolitico superiore, il sopraggiungere dell’Homo sapiens attuale è documentato da materiali meno abbondanti, spesso non riferibili ad una precisa facies industriale. Indizi della cultura aurignazia­na potrebbero essere rappresentati dai ritrovamenti di Crocialoni e di Salto alle Vecchie. Meglio definibile appare il complesso dì Capanno del Banti presso Le Vedute relativo ad un singolo bivacco o fondo di capanna databile tra il Gravettiano finale e l’Epigravettiano antico. Elementi più gene­rici di tipo gravetto-epigravettiano compaiono anche altrove (Casa Acquerata Nord).

Una vera singolarità è costituita, per tutto il Valdarno inferiore, dal fondo di capanna di Sammarti­na presso Le Vedute, che rappresenta il breve orizzonte culturale mesolitico, fase di passaggio tra il Paleolitico ad economia venatoria ed il Neolitico apportatore della nuova economia basata sull’agri­coltura. In questo giacimento, prima con raccolte di superficie iniziate nel 1963, poi con regolari cam­pagne di scavo condotte dall’istituto di Antropologia e Paleontologia Umana dell’Università dì Siena, sono state recuperate molte centinaia di strumenti ipermicrolitici di facies sauveterriana da considerare in funzione di una attività di raccolta e dì caccia alla selvaggina minuta.

Benché l’uomo del Paleolitico sicuramente facesse uso anche di materiali vegetali o di osso, la maggior parte degli strumenti giunti fi no a noi sono realizzati in pietra scheggiata, secondo una tecnica impiegata e perfezionata nel corso di alcune centinaia di migliaia di anni. Questi strumenti consentirono all’uomo di coprire numerose esigenze ma soprattutto quelle di armamento (venatorio o bellico) e di lavorazione della selvaggina (taglio, scarnificazione delle ossa, scuoiamento e trattamento del pellame).
Innanzitutto occorreva scegliere il materiale adatto (diaspro, selce, quarzite ecc.) che veniva reperito o sottoforma di ciottoli sulle rive dei corsi d’acqua oppure ricavato da opportune formazioni geologiche.
Il metodo più antico di trattamento del materiale per ottenerne uno strumento è quello della percussione diretta, tipica del Paleolitico inferiore. Si percuoteva cioé direttamente il ciottolo con un percussore, in modo da asportarne schegge, conferendo al ciottolo stesso le caratteristiche volute di forma e taglio, ottenendone uno strumento (chopping tool, amigdala).
Con l’andare del tempo però tale procedimento, che consentiva di ottenere strumenti massicci, pesanti e poco diversificati, fu soppiantato da una nuova tecnica (Levallois) che permetteva di ricavare schegge più regolari da un blocco di selce opportunamente sagomato (nucleo).
La tecnica di produzione più evoluta è infine quella introdotta nel Paleolitico superiore con la quale si producono schegge molto sottili e regolari di forma allungata (lame) dalle quali, si ottengono attrezzi assai diversificati (raschiatoi, punte, lame, grattatoi, bulini) mediante ritocchi che hanno lo scopo di conferire la forma desiderata o il taglio adatto.
Gli strumenti così ottenuti, non erano generalmente immediatamente utilizzabili ma necessitavano di una impugnatura in legno, osso o corno alla quale venivano fissati mediante mastici naturali (resine) o legature di fibre vegetali o animali.

I resti di capanne furono scoperti da Agostino Dani il 25 febbraio 1965, in seguito a lavori agricoli, su un versante collinare esposto a nord, in una insenatura  aperta verso il padule di Fucecchio. Pur nelle condizioni determinate dal recupero d’urgenza fu possibile individuare tre distinte zone ad alta concentrazione di materiali archeologici poste ad alcune decine di metri l’una dall’altra, in cui è possibile riconoscere altrettante abitazioni pertinenti ad un unico piccolo villaggio la cui economia era basata soprattutto sulle attività agricole e pastorali.

Le capanne avevano un struttura portante in pali di legno e pareti in graticci vegetali rivestiti di argilla di cui rimagono frammenti con le impronte dell’intreccio vegetale. Le ceramiche in uso nel villaggio sono inquadrabili nell’Età del Bronzo Medio iniziale (facies di Grotta Nova), cioè intorno al 1500 a. C.. Alcuni frammenti di macine in arenaria documentano l’attività di trasformazione dei cereali e il fatto che questi frammenti siano stati inoltre ritrovati solo in corrispondenza della capanna 2 fa avanzare l’ipotesi che, più che di un’abitazione, si possa trattare di un edificio destinato alle lavorazioni dei prodotti agricoli.

 

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